La storia questa volta è quella di un marito, che innanzi al giudice per la separazione, produceva delle stampe di alcune chat tra sua moglie e l’amante. Queste erano state tratte dalla sezione chat dal profilo Skype della moglie, a cui il marito aveva acceduto di nascosto.
Approfittando dell’assenza della moglie, il marito leggeva e stampava di nascosto pagine e pagine di conversazioni della chat con l’amante, pur sapendo di non essere autorizzato a farlo. Il tutto per precostituirsi una prova nel futuro giudizio di separazione dei coniugi.
Inutile la sua giustificazione circa l’involontaria e casuale presa di cognizione della conversazione Skype sul computer, che si trovava sul tavolo del salotto della casa coniugale, aperto e acceso sulla conversazione della piattaforma di messaggistica Skype, senza password di blocco/accesso.
Nè sarebbe valida la giustificazione che la password fosse salvata nel browser (in modo che il titolare dell’account non avrebbe dovuto ri-digitarla in occasione di ogni accesso). Nè che la stessa password fosse conosciuta ma usata contro la volontà del titolare dell’account.
Il diritto
Insomma, il marito fu accusato per i reati di accesso abusivo al profilo Skype della moglie (art. 615-ter c.p.) e di violazione di corrispondenza (art. 616 c.p., commi 1 e 3).
Art. 615-ter c.p.
Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.
Art. 616 c.p.
Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prender cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da trenta euro a cinquecentosedici euro.
La norma incriminatrice punisce non solo l’accesso abusivo a un sistema informatico, ma anche il mantenimento nello stesso contro la volontà del titolare.
Quindi il fatto che il computer della moglie fosse già aperto su Skype e che fosse collocato nella stanza da pranzo (ossia in un luogo comune) non costituiscono idonee giustificazioni, essendo rilevante solo il dato che l’imputato si sia trattenuto all’interno del PC.