Scritto da un giovane professionista del Sud, combattente sul fronte della rivoluzione tecnologica
Introduzione
“Cara Milano, lavoro per te, da Amalfi. E la sera un bagno a mare.” E’ questa l’essenza del south working odierno: lavorare dal Sud grazie all’uso delle tecnologie.
Il fenomeno del south working (quello italiano) si riferisce in particolare ai tanti uomini e donne che negli anni hanno lasciato il Sud per rimpolpare le corti di lavoratori in città quali Milano e Torino. Tanti giovanissimi (ma anche di meno giovani) hanno lasciato il Sud, con la loro valigia di sogni e speranze, per atterrare in una nuova realtà economica e sociale che (nella loro visione) gli avrebbe dato maggiori possibilità.
Quindi emigrazione economica e sociale: un fenomeno vecchio quanto la storia dell’uomo. Senza voler scomodare gli antichi basti ricordare i fenomeni di emigrazione moderni (spesso a carattere internazionale) che hanno visto tanti italiani sportarsi in Germania ed in Svizzera, in USA e nei paesi dell’America Latina… ma anche i corrispondenti fenomeni (per noi di immigrazione) da parte di cittadini albanesi, polacchi, rumeni di qualche anno fa, fino all’odierna immigrazione africana.
A causa del virus “covid19” molti italiani (e non solo) hanno sperimentato un modo nuovo di lavorare: il lavoro a distanza (anche denominato, sebbene con alcune differenze, smart working). Le aziende hanno dovuto abilitare al lavoro tanti dipendenti secondo forme di lavoro diverse per permettere la continuità del loro business. Facendo ciò hanno mostrato ai lavoratori un modo tutto nuovo di lavorare… tra cui la possibilità di farlo da un PC e dal luogo che preferivano.
Quali sono state le conseguenze?
Una grande mole di lavoratori emigrati, al fine di abbattere i costi e massimizzare lo stipendio, è tornata nelle loro città di origini, dove quasi sempre avevano la loro famiglia e le loro proprietà immobiliari (l’Italia, si ricordi, è un popolo, a differenza di tanti altri, molto legato alla famiglia e ai luoghi di questa, non solo come spazio tendenzialmente permanente di instaurazione dei propri affetti ma anche degli affari. Molto diffuse ancora sono le aziende familiari).
Quindi la frase simbolo del south working: Cara Milano, lavoro per te, da Amalfi.
Ma cerchiamo per un attimo di andare oltre questo fenomeno, che sicuramente interessa molte persone, ma che, a mio parere, non è altro che la punta dell’iceberg dell’ennesima conseguenza della rivoluzione tecnologica in atto.
Il punto sono i flussi di migrazione. Che sia un movimento nazionale (quello tra nord e sud Italia) o internazionale, il fenomeno del south working non è altro che una specie di quel fenomeno denominato smart working che a sua volta è una delle conseguenze della rivoluzione tecnologica. In particolare, si tratta di una specie, che oserei definire romantica: quella legata al senso della terra, all’appartenenza, alla famiglia, alle tradizioni…
OLTRE IL SOUTH WORKING
Ma ben presto molti metteranno da parte il romanticismo del south working e cercheranno di capire come ricavare altre opportunità da questa vicenda. Una vocina nella loro testa gli dirà: se posso lavorare dal mio paese nel sud Italia grazie ad una connessione internet, allora il fattore determinante non sarà il luogo (south) ma la tecnologia abilitante (la connessione internet). Potrò lavorare per Milano da qualunque parte del mondo, basta che ci sia una connessione veloce ed affidabile.
La vocina ben presto gli suggerirà altresì: ma aspetta, se posso lavorare per Milano da qualsiasi posto del mondo, vorrà dire che potrei lavorare per qualunque posto nel mondo da qualunque altro posto nel mondo. La condizione da soddisfare è sempre la stessa: sia il datore che il lavoratore dovranno essere forniti di connessione (e che ovviamente il lavoro permetta tale possibilità).
PREVISIONI PER IL FUTURO
Capito questo il mondo non sarà più lo stesso. Se durante la rivoluzione industriale (ma anche successivamente) si è parlato di spostamento “dalle campagne alle città” (e ciò ha causato una forte espansione di alcune regioni, come la Lombardia, a discapito di tante altre che invece hanno perso forza) quale sarà l’effetto dell’odierna rivoluzione tecnologica su tali flussi?
Le dichiarazioni di chi amministra questi grossi centri urbani sono eloquenti. Il sindaco di Milano si è già preoccupato e sui social settimane fa ha chiesto a tutti di tornare al lavoro e di uscire dalla grotta. Non è stato proprio un bel messaggio, ma mette in evidenza i timori del primo cittadino: Milano è vuota se non ci sono i pendolari e gli impiegati in giacca e cravatta che riempiono i bar e i ristoranti all’ora di pranzo. Anche i mezzi pubblici – e di conseguenza le partecipate del Comune – ne risentiranno.
Non è difficile prevedere, salvo interventi di forza da parte di chi ha interesse a mantenere lo status quo, che l’equilibrio e la distribuzione demografica (e quindi gli equilibri economici) nei prossimi anni saranno fortemente influenzati da tale rivoluzione. Determinante sarà l’accesso alle infrastrutture tecnologiche, che come abbiamo visto, rappresentano l’elemento abilitante al diverso modo di lavorare.
Quindi si può prevedere che i grossi conglomerati urbani vedranno sicuramente ridurre la loro popolazione, ergo i loro lavoratori, ergo la loro forza economica. Non credo però che ci sarà corrispondentemente un ritorno “nelle campagne”, almeno non nel senso assoluto e tradizionale del termine, sebbene la produzione agraria e primaria, anch’essa interessata dalla rivoluzione tecnologica e dall’internazionalizzazione, subirà una forte spinta che vedrà molti ritornare in quelle terre abbandonate a causa, secondo alcuni, della concorrenza globalizzata (ndr – che ha di fatto ammazzato molte produzioni rendendo poveri ed inadeguati gli agricoltori e gli allevatori che del post guerra ad oggi non hanno mutato il loro modello di business).
Se non in grosse città e nemmeno nelle campagne dove andranno mai questi lavoratori? La risposta non potrà che trovarsi nella via di mezzo: piccoli/medi conglomerati urbani, per uno stile di vita sano ad alto benessere psico fisico e attenzione per l’ambiente, con efficienti infrastrutture di trasporto per muoversi alla velocità della luce e ottima governance per semplificare e velocizzare i rapporti con la pubblica amministrazione e, non da ultimo, forniti di buona connessione internet, per lavorare in serenità ed assicurare la stabilità e sicurezza del lavoro a distanza.
Infine, non escludo l’alta volatilità di scelta di tali luoghi, dovuti perlopiù alle fluttuazioni non solo dei prezzi ma anche degli stili di vita in conseguenza della più o meno alta immigrazione e quindi di densità con le conseguenti scelte in termini di geo-arbitraggio.
CONCLUSIONI
Il futuro quindi ci aspetta grandi novità, causate, nolenti o volenti, da questa rivoluzione in atto. Starà a noi coglierle in tempo.
Concludo lasciandovi, non delle certezze, ma altri tre interrogativi su cui spero di poter ancora scrivere:
- Le considerazioni non valgono per quei lavori che non saranno assolutamente interessati da tale fenomeno (nel brevissimo periodo) perché la componente fisica resterà (francamente non so per quanto ancora) strettamente connessa alla mansione che il lavoratore dipendente – ma anche autonomo – dovrà svolgere;
- Le considerazioni dovranno essere rivalutate anche alla luce degli aspetti di politica internazionale che potrebbero escludere alcune nazioni dal novero: a titolo esemplificativo penso alla Cina, che ha messo in piedi il suo Firewall di Stato in ottica protezionistica. Anche la Russia sembra muoversi verso tale modello.
- Non escludo, per la futura generazione di lavoratori/autonomi, un neo nomadismo, inteso come regime di vita corrispondente alla mancanza di un insediamento stabile e quindi allo spostamento perpetuo o periodico del gruppo o della comunità per lo più associato (non più come nell’antichità alla caccia, alla pastorizia, o alla guerra) ma al digitale, alla connessione internet, al benessere psico fisico, alla governance snella ed efficiente, ai prezzi più bassi, ai salari/ROI più alti, alle libertà civili ed in generale alle migliori condizioni di vita soggettive.