I social media sono un fenomeno giovane ma decisamente intrigante. In circa un decennio si sono affermati, moltiplicati e diffusi in tutti il mondo. Whatsapp, Facebook, Instagram, Tiktok, Linkedin creano abitudini, modi di comunicare e tendenze della “nuova generazione globale”. Tra queste però assistiamo sempre più spesso a qualcosa di distorto: il dilagare di comportamenti aggressivi e irrazionali che spesso sfociano in vere e proprie offese sui social.
Il fenomeno delle offese sui social, come da una recente ricerca di Amnesty, coinvolge innumerevoli utenti della rete, in qualità sia di vittime che di perpetratori. Si propaga con forza in modo rapido e ad ampio raggio ed è difficile da contenere. L’odio online spesso conduce a manifestazioni di discriminazione e di intolleranza anche offline.
I maggiormente colpiti sono i soggetti più vulnerabili sulla base delle origini, della religione, del genere e dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale, delle condizioni socio-economiche, dell’aspetto. Molto frequenti sono anche i casi di odio verso personaggi o aziende in vista.
Diritti e doveri online
All’online si applicano le medesime regole dell’offline: regole sociali e di buon senso nonché leggi. L’art. 21 della Costituzione garantisce che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Tra gli altri mezzi di diffusione troviamo sicuramente i social network. Esistono tuttavia alcuni limiti a tale libertà: per quanto qui rileva, parliamo della dignità e dell’onore delle persone. La libertà di espressione non può arrecare danno alla dignità o all’onore di altrui persona.
Inserire un commento offensivo online equivale molto spesso a violare la dignità e l’onore di una persona. Tale comportamento può integrare gli estremi di un illecito. A seconda della gravità dell’azione commessa, la legge prevede delle gradazioni di pena.
Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516. Sebbene tale fattispecie di reato sia stata abrogata da qualche anno, tale illecito continua ad essere rilevante dal punto di vista civile.
Chi offende l’onore o il decoro di una persona può essere chiamato in giudizio ed essere condannato civilmente a versare in favore dell’offeso una somma di denaro a titolo di risarcimento.
Ma l’offesa può avere ad oggetto anche alla reputazione di una persona. Continua ad essere penalmente rilevante la diffamazione: chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032,00 euro.
La punizione in questo caso è molto più severa: chi offende rischia una imputazione penale!
Offese online: i casi più ricorrenti
I casi sottoposti all’attenzione del nostro studio sono molteplici e di seguito sono riportati alcuni di essi:
- Offese online ricevute nei commenti ad una foto su Facebook;
- Offese online ricevute in un gruppo Whatsapp;
- Offese online ricevute in una storia Instagram;
- Offese online ricevute in Direct su Instagram:
- Offese online ricevute su chat privata Messanger;
- Offese online ricevute durante una Virtual Conference (Zoom, Google Meet…);
- Offese online ricevute in un canale Telegram (spesso anche corredato di materiale pedopornografico);
- Offese online ricevute su Tiktok;
- Offese online ricevute su un Blog;
- Offese online ricevute in un video (di norma caricato su Youtube o diffuso in chat Whatsapp, Telegram…) o in un commento di risposta;
- Offese online ricevute via E-mail.
I casi possono essere molteplici e spesso non sono di facile risoluzione. La persona offesa potrà chiedere, con l’ausilio di un legale, una idonea tutela, sia nel caso di eventi singoli, sia nel caso di condotte ripetute nel tempo. Le offese online spesso sono il preludio di un progressivo aumento di condotte illecite che spesso sfociano anche in minacce, lesioni, atti persecutori, accesso abusivo a sistema informatico, rapina… ed altre condotte autonomamente valutabili e più gravi.
Le persone vittime di offese sui social spesso sottovalutano il problema e si accorgono della loro gravità solo nella fase più acuta del fenomeno. Questo può sfociare in minacce, lesioni personali, atti persecutori…
Il consiglio è quello di intervenire quanto prima: il primo atto è di norma una diffida. Questo è l’atto formale con il quale la persona offesa invita il soggetto agente a far cessare immediatamente il comportamento illecito (nel caso provvedendo anche ad eliminare l’offesa – come, ad esempio, il commento offensivo – e a provvedere ad un ravvedimento).
Se nonostante tale diffida i comportamenti illeciti persistono, la persona offesa può raccogliere le prove e denunciare la vicenda alle Autorità. L’esperienza ci ha insegnato che è buona norma affidarsi al proprio legale di fiducia fin da subito, affinchè ci segua anche (e soprattutto) nella delicata fase della raccolta delle prove! Queste, per essere utili, debbono essere raccolte in un determinato modo, tale da assicurare la loro spendibilità concreta nella vicenda giudiziaria. Da evitare sono gli screen, le foto, le fotocopie, le stampe… poichè facilmente contestabili.
Questo si traduce spesso nell’opportunità di redigere una relazione investigativa, che unisca gli accertamenti di informatica forense con le risultanze investigative. Tale documento dovrà poi essere allegato alla denuncia che verrà presentata alle Autorità.
Per l’alta complessità e competenza richiesta, onde evitare tentativi goffi e spesso inutili, si consiglia di affidarsi ad un professionista specializzato, che potrà adottare tutte le cautele del caso nella delicata fase dell’identificazione, raccolta, analisi e presentazione della prova digitale.
La persona vittima di offese sui social infine può richiedere l’intervento del gestore del servizio (Facebook, Instagram, Tiktok…), che la legge definisce Internet Service Provider (ISP), che a particolari condizioni possono inibire relazioni e visualizzazioni di offese.
L’offesa può anche essere presente (tecnicamente, “indicizzata”) sui motori di ricerca (si pensi alle foto o agli articoli presenti nelle ricerche su Google) e pertanto si potrà intervenire anche nei confronti dei motori di ricerca affinché non continuino a riproporre il contenuto.
Infine, si segnala la strada strettamente civilistica. Il rimedio è l’azione di risarcimento per fatto illecito: qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno. Qui fondamentale sarà l’allegazione della relazione investigativa, poiché sarà onere della persona offesa dimostrare sia il danno subito sia il nesso causale con l’azione illecita commessa dall’offensore, nonché (non sempre di facile soluzione) l’identità dello stesso!