Nell’era della condivisione sempre più persone si candidano a diventare degli Influencer, attratti per lo più dai facili guadagni e dalla vita mondana. Viaggi in prima classe, hotel a 5 stelle e mete esotiche sono considerate delle buone merci di scambio, soprattutto quando quello che dobbiamo fare è semplicemente caricare una nostra foto su Facebook, una storia su Instagram o un video su Youtube. L’Influencer marketing sui social è ufficialmente un lavoro.
Sempre più giovani (ma non mancano casi anche di persone che tanto giovani non sono più) che grazie ai social network sono diventate delle vere e proprie celebrità, con fatturati annui da capogiro. Ovviamente tutto dipende dal seguito e dalla “qualità” dei seguaci.
Non è questa la sede per soffermarci sugli aspetti mondani (di quanto sia figo Favij piuttosto che Chiara Ferragni) od economici della vicenda (le modalità di monetizzazione dell’influenza e i fatturati più rilevanti degli Influencer nel mondo).
Non è mia intenzione ribadire dei dati che in rete trovate tranquillamente e con maggiore precisione, visitando siti specializzati digitando la chiave di ricerca “Influencer marketing”.
Quello che invece possiamo analizzare e su cui certamente posso dare un contributo rilevante in termini di cittadinanza digitale, è l’aspetto della pubblicità occulta, spesso presente nel mondo degli Influencer. Ciò perché è vero che la pubblicità è una delle forme di guadagno che i nuovi VIP usano per “monetizzare” la loro posizione, ma è anche vero che sta al cittadino decidere se e come subire la sua influenza. E se questa è subdola, evidentemente, c’è qualcosa che non va.
E si badi bene: l’influencer marketing non è nulla di nuovo! E’ una pratica da sempre presente nel mercato dei media. Dai film western degli anni ’70 che pubblicizzavano le sigarette fino ad arrivare a programmi comici spiccatamente meridionali che pubblicizzano il consumo di una marca di caffè. E gli esempi sono molti.
Si parla infatti di posizionamento di prodotto o marchio quando questi vengono inseriti all’interno di un film, serie tv, video musicale, videogioco … legandolo al contesto narrativo-espressivo, in modo tale che siano perfettamente riconoscibili i segni distintivi, e che il prodotto/marchio risulti essere frutto “spontaneo” delle scelte dei soggetti che vi prendono parte.
E allora perché questa nuova categoria di Influencer fa tanto discutere? Perchè Influencer marketing è così discusso?
La risposta è semplice: per la televisione esistono delle regole chiare, rodate e conosciute e le emittenti hanno oramai esperienza e sono pertanto più attente. Inoltre hanno una reputazione da difendere, sia con il pubblico che con gli investitori…sebbene non manchino casi di illeciti anche oggi!
I nuovi Influencer invece sono per lo più giovani, scaraventati nel mondo dei VIP in pochissimo tempo e…quasi sempre all’oscuro delle incomprensibili leggi sulla pubblicità. Si trovano spesso ad accettare regali, buoni viaggio e prodotti in anteprima…con i quali ovviamente faranno quello per il quale sono noti: farlo sapere!
Personalmente non credo che i cattivi della storia siano gli Influencer, seppur parte della responsabilità è certamente da ascriversi in capo a loro. Credo di più, per dirla in maniera semplice, che siano le aziende ad approfittarsi dell’ingenuità di alcuni influencer (soprattutto quelli piccoli, denominati micro-influencer) per perseguire il loro premeditato progetto teso ad una sola cosa: il profitto.
Ebbene, tutta questa storia fa male, sia ai consumatori che agli influencer. Le Autorità l’hanno compreso e stanno intervenendo.
Poiché, come abbiamo visto, l’influencer marketing può dar luogo a forme di pubblicità occulta, nel proprio intervento del 2017, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiana aveva sollecitato tutti gli operatori coinvolti a conformarsi alle prescrizioni del Codice del Consumo, fornendo adeguate indicazioni atte a rivelare la reale natura del messaggio, laddove esso sia qualificabile come “committenza” (sponsorizzare in cambio di) e abbia una finalità commerciale, ancorché basato sulla fornitura gratuita di prodotti.
La risposta al primo intervento dell’Autorità del 2017 è stata positiva. Gli influencer e le imprese coinvolte hanno modificato le proprie condotte in senso più trasparente per i consumatori: si è osservato un maggior utilizzo di #hashtag e riferimenti idonei a rivelare la natura pubblicitaria delle comunicazioni.
Inoltre, l’Autorità ha rilevato un’evoluzione degli strumenti disponibili sui social network e delle modalità con le quali imprese e influencer possono raggiungere i consumatori. In particolare, le piattaforme di social network mettono a disposizione degli influencer specifici strumenti per rendere manifesto agli utenti il rapporto di sponsorizzazione. Ho io stesso riscontrato che, ad esempio, Instagram si sta impegnando sul punto, dando la possibilità di taggare il partner commerciale in maniera trasparente nelle storie.
Pertanto la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale, affinché l’intento commerciale di una comunicazione sia percepibile dal consumatore. Il divieto di pubblicità occulta ha infatti portata generale e deve, dunque, essere applicato anche con riferimento alle comunicazioni diffuse tramite i social network, non potendo gli influencer lasciar credere di agire in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno percependo soldi o altri benefici dal brand.
Come capire quindi quando un post è commerciale?
La visualizzazione di prodotti unitamente al posizionamento sull’immagine di un tag o un’etichetta che rinviano al profilo Instagram o al sito del brand sono idonei ad esprimere un effetto pubblicitario; la mancanza di ulteriori elementi può non rendere evidente per tutti i consumatori l’eventuale natura promozionale delle comunicazioni.
Inoltre l’inserimento di avvertenze quali, a titolo esemplificativo e alternativo, #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #ad, #inserzioneapagamento, #prodottofornitoda (diciture alle quali far sempre seguire il nome del marchio) potrebbero essere chiare indicazioni della natura commerciale della comunicazione.
Conclusioni
Non mi resta che auspicare maggior sensibilizzazione da parte della società civile e dalle Autorità sul tema. Questo è quello che nel mio piccolo cerco di fare da anni, da privato cittadino, in maniera del tutto trasparente e disinteressata. Sia online su questo sito che sui miei canali social [Facebook, Instagram, Linkedin, Youtube], sia in aula con i ragazzi nelle scuole partner del progetto di cittadinanza digitale #connessiconsapevoli [clicca qui e andrai direttamente sulla pagina che spiega nel dettaglio l’iniziativa sociale], sia durante eventi pubblici che ho avuto la fortuna di curare o a cui sono stato invitato.
Comprendere se il messaggio veicolato dall’influencer sia spinto da intenti commerciali o rientri nella libera espressione del soggetto, che, in base alla propria esperienza, può ritenere opportuno suggerire ai followers un determinato prodotto o servizio, è qualcosa di arduo. Ed è qui che si gioca la partita per il futuro!
Passo e chiudo.